Solo i sindaci possono fermare questa deriva. Ha fatto bene il primo cittadino di Civitanova, Fabrizio Ciarapica, a incontrare e abbracciare subito la moglie di Alika, l’ambulante massacrato ieri in pieno giorno nel centro della città. Ha fatto bene Rosa Piermattei, a nome di tutta la comunità settempedana, a esprimere il cordoglio e a dire che “le istituzioni ci sono e sono vicine alla famiglia”. Alika, che faceva l’ambulante, viveva a San Severino, aveva un figlio di 8 anni a cui racconteranno un giorno a che punto di bestialità si può arrivare.
Poteva succedere in qualsiasi città, un pazzo che uccide a mani nude senza motivo può agire ovunque. Ma una situazione di tensione così alta – ancora una volta, le ferite non si sono ancora riemarginate – la si può gestire solo stemperando gli animi e ascoltando tutti. Sembra di essere tornati ai tempi di Pamela e Traini, quattro anni fa ma sembra ieri. E nel 2016 a Fermo ci fu la morte di Emmanuel Chadi Nnamdi: battè la testa dopo una collutazione.
Oggi la rabbia si pesa, nella manifestazione dei nigeriani a Civitanova, e poco si fa per mediare, anche nelle dichiarazioni. La crisi profonda di questo Paese è anche nelle parole, fatte apposta per portare acqua ai propri mulini.
Ma la “terra accogliente e solidale” di cui si parla nei comunicati (la Regione si costituirà parte civile) non esiste più, semplicemente perchè non è più un fatto locale, bensì nazionale, e le parole del coordinatore della Lega Riccardo Marchetti contro “sinistra e stampa asservita al Pd” appaiono fuori luogo, così come dire che Civitanova, teatro dell’omicidio, è una città priva di sicurezza.
Sì, c’è un problema grande come una casa di mancata integrazione. Sì, c’è un problema di razzismo strisciante e invisibile e fin troppo evidente nei fatti di sangue. Se la politica nazionale non si accorge di questo, dovranno essere proprio i sindaci a dare dignità alle nostre città irrisolte. E il dovere di tutti in questo momento è abbassare i toni, non strumentalizzare nè da una parte nè dall’altra, non dire che tutto va bene perchè non è vero.