La lettera che divide. Parole di sensibilità democratica o forzate?

Sensibilità civile o messaggio forzato? Sulla lettera della preside del liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Firenze, Annalisa Savino, indirizzata a studenti, genitori, personale Ata e docenti della scuola, l’Italia si è divisa. Sull’aggressione, al liceo classico Michelangiolo, ai due studenti di sinistra da parte di un gruppo di altri ragazzi di destra, a dividere è soprattutto la percezione del fatto, le diverse sensibilità.

Se da un lato la Savino ha scritto che “il fascismo in Italia non è nato con le grandi adunate da migliaia di persone. È nato ai bordi di un marciapiede qualunque, con la vittima di un pestaggio per motivi politici che è stata lasciata a se stessa da passanti indifferenti. ‘Odio gli indifferenti’ diceva un grande italiano, Antonio Gramsci, che i fascisti chiusero in carcere fino alla morte, impauriti come conigli dalla forza delle sue idee. Siate consapevoli che è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune, rovinando quelle di intere generazioni. Nei periodi di incertezza, di sfiducia collettiva nelle istituzioni, di sguardo ripiegato dentro al proprio recinto, abbiamo tutti bisogno di avere fiducia nel futuro e di aprirci al mondo, condannando sempre la violenza e la prepotenza”, dall’altro il ministro Giuseppe Valditara pensa che “non competa ad una preside lanciare messaggi di questo tipo e il contenuto non ha nulla a che vedere con la realtà: in Italia non c’è alcuna deriva violenta e autoritaria, non c’è alcun pericolo fascista”.

“Lettura impropria”, iniziativa “strumentale. E l’avvertimento che se la situazione dovesse persistere i vertici potrebbero “prendere misure” riguardo la preside. 

“Un esempio di sensibilità civile e di pedagogia repubblicana” secondo il segretario dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo. E tanti altri a ruota: “ministro indegno” secondo il sindaco fiorentino, Dario Nardella, e “inadatto al ruolo” a giudizio del leader del Terzo Polo, Carlo Calenda. E da destra si risponde “basta fare politica nelle scuole”.

Ma forse è nella percezione della realtà, distorta a volte, in altre lacunosa, a seconda da quale parte si guarda, che non si converge. Un episodio di violenza può essere simbolo della “deriva” di una civiltà? O è un pretesto per dire le proprie convinzioni?

La lettera della preside di Firenze ci lascia aperte tutte le soluzioni del caso. E’ di chiara ispirazione democratica, è una bella lettera, ma l’invocazione a “chiamare con il proprio nome” certi episodi (e dunque a prenderli a simbolo di qualcosa di molto grande e pericoloso in tema di libertà) è forse il passo intellettuale che non convince chi è attento alla democrazia.

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