L’undici settembre di Israele

Lasciando i civili senza acqua, cibo e gas, la controffensiva di Israele a Gaza sarà non meno cruenta dell’attacco di Hamas contro lo Stato ebraico. Tre giorni sono bastati a far capire al mondo che niente sarà come prima e che il tentativo di normalizzare la regione è stata solo una strategia fallimentale. E’ guerra e chissà quando finirà.

Israele deve fare i conti con la Palestina e Hamas dopo il suo undici settembre, costato ottocento morti, duemila feriti, cento cittadini ebraici catturati e trasferiti nella striscia di Gaza. Sarà sulla liberazione degli ostaggi che si faranno i primi conti, dopo la controffensiva, la prima dopo nove anni, dopo gli attentati via terra, mare e cielo di sabato scorso.

Soprattutto Israele improvvisamente non è invincibile: uno dei Paesi più sorvegliati del mondo, con un’intelligence tra le più efficienti, non si è accorto dell’attacco massiccio, non ha saputo difendere insomma i suoi cittadini. L’intera regione è in subbuglio, non è solo la Palestina a rialzare la testa, ma anche chi l’ha armata e cioè l’Iran. Venti brecce nei muri della Striscia dimostrano, tra le altre cose, quanto l’attacco fosse stato accuratamente pianificato, anche nella barbarie, perchè di questo si tratta quando si sterminano quasi trecento giovani riuniti in un rave party. 

Due milioni e trecentomila palestinesi, quelli che vivono nella Striscia, sono ora alla mercè dei controattacchi israeliani e si prevede una crisi umanitaria (già non hanno viveri nè medicinali) di dimensioni enormi. Ma forse non sarà solo questo. Lo Stato ebraico, sorpreso e attaccato, vorrà forse provare un’azione ancora più cruenta, per far vedere a tutti che Israele è ancora in piedi.

Dal canto suo il mondo sa che questa guerra era inevitabile dopo la perenne occupazione nell’area, le violenze giornaliere, il proliferare degli insediamenti ebraici, la mancanza di un futuro per i palestinesi. Israele sul fronte interno è da tempo sempre più estremista e questo non aiuta il dialogo tra le parti.

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