Dalla mitologia alla solitudine contemporanea. Addio a Louise ​Glück, premio Nobel della Letteratura

​”L’esperienza fondamentale dello scrittore è il senso di impotenza​”. Così Louise ​Glück, premio Nobel per la Letteratura nel 2020​, spentasi ieri a 80 anni, cominciò a sedurre, diretta e spietata come al solito, gli astanti alla consegna del premio LericiPea alla carriera​.

Il registro della Glück​ è stato sempre quello della chiarezza, anche estrema: “La lingua più semplice ​è la più adatta a questo scopo; una lingua che, nell’essere generica, è probabile contenga la più ampia e impressionante varietà di significati dentro alle singole parole”. “L’ampiezza”, ma “invisibile”.

​Alla consegna del Nobel, prima americana a essere premiata dopo T.S.Eliot nel 1948, i giurati di Stoccolma ​ricordarono l’importanza della famiglia nelle opere della poetessa: “l’infanzia​ e le relazioni con genitori e fratelli​” diventano il “piccolo” punto di osservazione per capire il mondo. Artista “tragica”, ha parlato di solitudine e isolamento ispirata dai classici greci e dalla religione della natura. 

Nata a New York nel 1943 ​da una famiglia di immigrati ebrei ungheresi, Glück ​ha pubblicato libri che le sono valsi anche il Premio Pulitzer per la poesia​ e il National Book Award​. Riconoscimenti che le sono valsi il paragone con “mostri sacri” come Robert Lowell​ e Sylvia Plath​. Tra i suoi capolavori “The Triumph of Achilles​”, “Ararat​” e “The Wild Iris​”.

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