Cronache dal fronte Covid

(articolo di Maurizio Verdenelli) – Macerata, container 1. Nell’era del Covid, al suo terzo inverno, ci si arriva affiancando il piccolo parcheggio in superficie dal quale si accede all’ingresso interno dell’ospedale. L’altra sera nella camerata in lamiera del prefabbricato Cemeco, nella breve sequela di barelle dietro quella di Nicola, 98 anni il 23 dicembre, attaccato alla maschera d’ossigeno (“tienila stretta; perchè poi c’è il casco, infine il tubo in gola!” l’ammonisce l’infermiera), c’è Delia, 2 anni e 10 giorni, attaccata al seno della madre che l’allatta.

Entrambi corridoniani, entrambi malati di Covid: Delia e Nicola che di figli ne ha quattro. Il maggiore ha 72 anni, il minore 60. “Mi danno ancora preoccupazioni, come mia moglie” sorride lui. Che ricorda il Duce: “L’ho visto passare in auto scoperta ad una curva della strada verso la piazza che lui veniva ad inaugurare nel nome dell’amico Corridoni”. E ricorda pure la madre di Filippo: “Per un certo periodo siamo stati vicini di casa”. Nicola è stato per tutta la vita falegname: “Allora per fare il letto degli sposi, di vero legno, occorreva un mese di duro lavoro. Ora il lavoro artigianale è scomparso; basta una macchina, la giusta quantità di materiale, magari di truciolato, ed un addetto a premere il bottone…”.

Sorride ancora Nicola mentre Delia, dopo la poppata, piange durante la visita della pediatra. Dal container 2 e’ venuta anche l’infermiera Giulia, sul primo fronte del Covid poi trasferita in sub-intensiva (pneumologia) e con la quarta ondata nuovamente rispedita al fronte. Nel container 1 c’è pure Giancarlo, 83 anni, da Porto San Giorgio. Ricarica spesso il cellulare, pur… carico, per non perdersi un’eventuale chiamata da casa. Spera fortemente e sorride finalmente quando l’infettivologa Paola gli annuncia felice che ce l’ha fatta: Giancarlo torna a casa, c’è la moglie che l’aspetta al di là delle barriere che separano il mondo dei ‘fragili’, malati di covid, dagli altri.

In barella c’è pure Mariola, 90 anni, che chiama ripetutamente ad uno ad uno tutti i nomi della sua lontana giovinezza, nel cuore di una civiltà estintasi per far posto a quest’altra dove per chiamare un amico basta un tasto come nei nuovi stabilimenti di falegnameria. Mariola ha un nome nel cuore, soprattutto: “Babbo, perchè non vuoi parlarmi più?”. “Babbo, vieni a trovarmi. Sono qui, al piano terra”.

Il container 1 vibra ogni volta che passa un’ambulanza o un autocarro: quasi una scossa di terremoto e pare di stare in uno dei MAM del ’97 tra l’Umbria e le Marche. La sensazione è netta nella memoria del cronista, incisa da 55 anni di mestiere. I container sono due ed hanno un gestore importante: il Pronto soccorso, diretto dal dottor Emanuele Rossi. Gli dice l’infermiere Fabio, cuore di tifoso: “Dotto’, faccia il concorso da primario. Lei è la persona giusta”. Emanuele, anconetano, cinquantenne, si schernisce: “E’ questione di giovani. Io non ho più l’età giusta, poi dopo due anni al ‘fronte’ vorrei tornare a casa, in famiglia”.

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