L’epidemia di oligarchi russi suicidi non finisce. Siamo a sette

L’ultimo, Andrei Krukowski, direttore del resort sciistico del gigante russo Gazprom, è ufficialmente precipitato da una scogliera. E’ il settimo degli oligarghi che muoiono in circostanze misteriose in queste settimane. In Russia anche la verità è un mistero e perfino i capi muoiono per “raffreddore”, come successe al Segretario Generale del Partito Comunista, Leonid Breznev. Nell’82 non si presentò alla tradizionale parata militare dedicata alla Rivoluzione d’ottobre: Un “raffreddore” appunto, così forte che dopo tre giorni morì. Quando Stalin se ne andò da questo mondo verosimilmente senza conforti religiosi, solo dopo cinque giorni i vertici sovietici fecero sapere al mondo che il Caro Leader ci aveva già lasciato tutti. 

Gli altri sei che hanno accompagnato Krukowski in un addio molto repentino al mondo erano tutti uomini vicini a Putin, dirigenti delle principale industrie del Paese. Tutti suicidi. Che ci sia dato sapere, non avevano il raffreddore ma la maggior parte ha lasciato bigliettini d’addio. Il manager di Gazprom Invest, Leonid Shulman, dirigente di Gazprom Invest, è stato il primo a gennaio, un mese dopo è stata la volta di un altro dirigente della compagnia statale, Alexander Tyulakov, il terzo ha deciso di morire o farsi ammazzare in Inghilterra, il miliardario Mikhail Watford.

Gli altri tre hanno deciso, almeno secondo le versioni ufficiali, di streminare prima le famiglie. L’imprenditore Vasily Melkinov avrebbe ammazzato la moglie e due figli piccoli, l’ex presidente della Gazprombank, Vladislav Avayev, si sarebbe portato con sè, nell’insano gesto, la consorte e una figlia, e Sergey Prosenya, manager in Novatek, avrebbe scelto la Spagna, Lloret del Mar, per suicidarsi sempre con moglie e figlia. Addii collettivi. Tutti russi, tutti oligarchi, tutti suicidi nelle settimane dopo la guerra. Com’è strana la vita.

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