Cosa facevano in Ungheria gli Italiani negli anni in cui cadde il Muro? Gilberto Martinelli e Anna Nagy ce lo racconteranno nel loro nuovo film

Gilberto Martinelli, oltre ad essere un importante e stimato documentarista, è un curioso. Insieme ad Anna Nagy, ricercatrice e montatrice, si insinuano tra le pieghe della Storia con una maestria unica. Arrivano fino in fondo alle vicende, con l’onestà intellettuale che hanno le vere persone di cultura. E ci raccontano, attraverso documenti e interviste, ciò che non sapevamo o abbiamo occultato nella nostra Memoria collettiva. Soprattutto, Martinelli è un appassionato del proprio mestiere.

Il nuovo lavoro, in preparazione, ci narrerà i due anni in cui cadde il “Muro di Berlino” e cambiò la storia in Ungheria: da una prospettiva unica, che è quella degli Italiani che già vivevano nel Paese magiaro e di coloro che invece stavano arrivando. Il cambio. Nel 1989-90 a presentarsi è gente “coraggiosa, danarosa, scaltra” come ci spiega il regista. “Veniva chi voleva investire, specialmente grossi funzionari che, comprando gli asset importanti, mettevano le basi per la new economy ungherese” sottolinea. Ma ci sono anche gli altri: “Il popolo italiano in quegli anni era il più osservato di tutti (dalla polizia e dall’intelligence locali ndr)”. Importante era anche la trasformazione dei rapporti accademici e culturale nonchè quelli privati in relazione alle famiglie miste.

Anna Nagy, con un grande lavoro negli archivi storici, “ricostruisce il volto” di questo passaggio epocale dal comunismo al mercato: attraverso documenti di non facile accesso, filmati storici pescati in Rai o, super8 amatoriali, tra la gente comune, con testimonianze dirette, il vero patrimonio di Gilberto Martinelli sempre a contatto con la materia prima della Storia e cioè le persone. Materiale che ci racconta anche della “passività” dei funzionari ungheresi che avallavano questo “cambio” (“Avevano la necessità di uscire di scena con qualcosa, il futuro era più che incerto”) e della sostanziale correttezza degli Italiani arrivati in Ungheria per fare business (“Venivano in amicizia, erano poco ‘voraci’, a differenza di altri europei”, è un “patto di non belligeranza”).

“Abbiamo messo una lente di ingrandimento su anni che sono stati inghiottiti velocemente dalla Storia senza lasciare traccia” aggiunge il regista romano. La sua è, così la definisce, “una ricerca di rimando” perchè su un altro aspetto oscuro della Storia ungherese post-comunismo aveva già lavorato. “Operazione Budapest – Il furto del secolo”, l’affascinante narrazione di un giallo scosse l’Ungheria, fino a minarne i meccanismi di potere. Un furto ad opera di una combriccola di piccoli delinquenti italiani al Museo delle Belle Arti di Budapest. Un colpo che sembrava impossibile e invece non lo fu.

Il gruppo di reggiani nella notte tra il 5 e 6 novembre dell’83, sfuttando le magagne organizzative e le insicurezze del potere, riuscì a portarsi via capolavori di Giorgione, Tiepolo e Raffaello. Durò poco, ma ci riuscirono. Una delle storie sconosciute, che è documentatissima ma sembra improbabile, narrazioni uniche che solo l’arte di Martinelli e Nagy può raccontarci. (Foto: Fortepan / Magyar Rendőr)

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