Il trionfo di D’Alberto, Teramo è con lui e premia il suo progetto condiviso. Bocciati i personalismi e gli egoismi dell’opposizione

Se Gianguido D’Alberto non avesse fatto la campagna elettorale, avrebbe vinto lo stesso. La città è dalla sua parte. Una vittoria così schiacciante non si spiega altrimenti. L’incredibile risultato (54,47% di consensi a fronte di un 36,43% dello sfidante di centrodestra, Carlo Antonetti – 5500 voti di differenza, un abisso – e del 9,10% dell’outsider “civica” Maria Cristina Marroni) è in questa empatia e fiducia che i teramani hanno con il loro primo cittadino. Ma questa tornata elettorale ci dice ben altro.

Fa bene D’Alberto, appena rieletto, a parlare di “laboratorio politico a cui devono guardare tutti con attenzione”. Ha vinto infatti una coalizione che ha messo insieme tutto il centrosinistra, con un Pd capofila e liste civiche molto schierate e attente al territorio. Nella squadra c’era anche il Movimento Cinque Stelle, che non ha ragione, anche a livelli più “alti”, di andare da solo nel momento in cui soffia forte il vento di destra. 

Un’alternativa. D’Alberto ha costruito un’alternativa che studieranno, per le elezioni del prossimo anno, a livello regionale e guarderanno con attenzione in tutta Italia. In questo, D’Alberto non ha solo stravinto, ma se governerà in modo convincente i prossimi cinque anni si è già conquistato un posto nella politica nazionale.

E, per inciso, avrebbe vinto anche senza gli amici del M5S (664 voti per uno scarno 3%).

Ma chi veramente deve leccarsi le ferite è lo schieramento opposto, che ora è costretto a ricostruire tutto dalle basi. Va dato merito a Carlo Antonetti di aver proposto una sua visione della città a venire, ma poco poteva fare contro “le ruggini personali” a cui ha fatto cenno post-voto il presidente della Regione, Marco Marsilio, e i (sicuri) tradimenti interni. “Una parte del centrodestra ha votato per D’Alberto” ha commentato la Marroni, che peli sulla lingua non ne ha. Magari non è proprio così, ma certo… Ha chiosato Marsilio che “di certo non abbiamo messo il candidato nelle condizioni migliori” perchè, è bene ricordarlo, è stato scelto in ritardo, con qualche affanno forse, poco prima della presentazione delle liste.

E questa debacle è avvenuto nel collegio dove è stata eletta la premier Giorgia Meloni.

L’esperimento politico di D’Alberto può dunque essere esportato. Il sindaco ha utilizzato i primi cinque anni per programmare il futuro della città e adesso userà questi cinque per restituirla al prestigio e alla bellezza che Teramo ha sempre avuto, prima di essere azzoppata dal terremoto e dalla pessima amministrazione precedente. 

Quando l’abbiamo incontrato, due settimane fa, D’Alberto ci ha ripetuto che il commissario prefettizio a quel tempo gli raccontava che solo a Gioia Tauro aveva vissuto una situazione più difficile. D’Alberto ha preso in mano una città traumatizzata nel 2018, vincendo a sorpresa.

La Teramo attuale è con lui e ha l’opportunità, in questi anni, che la città futura sia una sua creazione. In nome dei principi di cui ha parlato in campagna elettorale: condivisione, partecipazione, sostenibilità. Senza i quali, poco si fa. 

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