Tifosi. Se la guerra diventa come una partita di calcio

Il bisogno irrefrenabile degli italiani di stare sempre da una parte (tutti fascisti, poi comunisti, poi democristiani, addirittura renziani per un brevissimo periodo, e poi riprendere da capo, com’è oggi, in una sorta di Monopoli dell’appartenenza) condiziona anche questa nuova guerra. Chi è con Israele e chi con la Palestina.

Stavolta sembra che, per l’efferatezza degli attacchi dei terroristi di Hamas, gran parte dei nostri “tifosi” si sia schierato con il Paese ebraico e per questo esigono che tutti i municipi italiani abbiamo la stella di David sui pennoni comunali. La Storia purtroppo non ha verità uniche, solo tragedie. I pro-Palestina sembrano ignorare la gravità dell’accaduto, non solo in termini di vittime ma anche sottovalutando l’attacco all’identità e alla sopravvivenza di Israele. I pro-Stato ebraico dimenticano le atrocità presenti (Gaza verrà annientata compresi i suoi bambini e adolescenti, che compongono metà della popolazione, e anziani compresi) e passate (ventotto risoluzioni dell’Onu hanno sancito le violenze perpetrate contro i palestinesi).

La necessità del pensiero unico, come è accaduto nella guerra Ucraina-Russia, è una costante nel nostro Paese e in Europa. Nelle ore successive agli attentati di tutto si è parlato tranne che dell’inevitabile allargamento del conflitto al mondo arabo, che è la vera preoccupazione di tutti, di quali Paesi insomma parteciperanno alla guerra, e della questione più semplice al mondo: la Palestina ha diritto ad essere un Paese o no?

Ecco, i tifosi sono sempre accecati dal presente (tranquilli, fra poco non se ne parlerà più). Vogliono la vittoria della Roma alle spese della Lazio, o viceversa, anche se lo stadio esplode con tutti loro dentro. Vogliono un colore, una maglia, un senso alle loro vite, un ordine che non hanno neppure in casa.

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