E’ uscito da poco “Leopardi a Napoli. Tra sorbettieri, pasticcieri e seguaci della filosofia dei maccheroni”, il racconto dettagliato (e sentimentale) che Carmine Cimmino fa sulla permanenza del Poeta nella città partenopea. Un rapporto complesso, fatto di invettive contro gli intellettuali napoletani e la loro “filosofia dei maccheroni” e di voraci mangiate di dolci, sorbetti e spumoni.
“Negli ultimi anni della sua vita, Leopardi non si sottrasse al confronto con una città che era diversa da ogni altra, il cui clima gli apparve a lungo propizio per la sua salute: Napoli lo affascinava con i suoi quartieri vivaci di colori e di voci, ma nello stesso tempo lo irritava con i suoi eccessi – scrive Cimmino – In una lettera al padre scritta il 5 ottobre del 1833 egli trovava ‘assai piacevoli la dolcezza del clima, la bellezza della città, l’indole amabile e benevola degli abitanti’, ma in una lettera del 3 febbraio 1835 confessava che avrebbe fatto di tutto per ‘sradicarmi di qua al più presto, per il bisogno che ho di fuggire da questi Lazzaroni e Pulcinelli nobili e plebei, tutti ladri degnissimi di Spagnuoli e di forche’…
“A Napoli anche Leopardi poté liberare e soddisfare la sua passione per i dolci. Pietro Citati si divertì a ‘seguire’ Leopardi durante le sue passeggiate giornaliere dalla casa di Vico Pero, quarta e ultima dimora napoletana del poeta, fino a via Toledo, dove, al Caffè delle due Sicilie egli consumava granite e dolcetti, fino alla pasticceria di Pintauro a Santa Brigida, dove gustava sfogliatelle e pasticcini di riso. Meta fissa era la Bottega del Caffè di Vito Pinto, al largo Carità: l’arte di Zi’ Vito nel preparare i sorbetti il poeta la considerava ineguagliabile”.
“Tra il ’36 e il ’37 Leopardi abitò nella villa che l’avvocato Ferrigni, cognato di Ranieri, possedeva tra Torre Annunziata e Torre del Greco: e il cuoco di casa, Pasquale Ignarra, gli preparava i piatti che egli gradiva – in un appunto il poeta ne elencò 49 – e prima di tutto, i carciofi fritti, le salse e il pasticcio di maccheroni. Per i sorbetti Antonio Ranieri dice di essersi ‘acconciato’ con un sorbettaio di Torre del Greco. Ed è sempre Ranieri a raccontarci che anche nell’ultimo giorno di vita il poeta sorbì “con la consueta avidità” la granita doppia che forse gli fu fatale”.